C’è una stanza un po’ magica. Una di quelle che nel momento che chiudi la porta dietro di te ti accorgi di essere in un ambiente così lontano e fantastico, così imprevedibile che potrebbe accadere l’impossibile. Una di quelle stanze in cui potrebbe nevicare dentro o sbocciarvi la primavera, potresti essere in pericolo da creature che ti vorrebbero togliere la vita o arrivare alla fine della tempesta a vedere che alla fine ciò che rimane è il cielo sopra le nostre teste.
Entra pure a vedere nella mia.
Isolati in spazi indefiniti
tra il letto e i vestiti
a farci storie, a vestirci pesanti
a specchiarci nel Chianti.
Ridondanti nelle challenge
sfide, in mancanza di altre
vere.
A scoprire che là in fondo
alla tana ci son libri
tutti peluches accumulati,
accatastati e dimenticati.
A comprendere
capirci unghia spezzata,
soli
nel turbinio di vento,
soli,
il coppo sbeccato su di un tetto,
l’anello, quello debole,
fragili (noi).
Siamo,
soli ma siamo,
così forte che realizziamo
una felpa appesa sulla porta,
del dettaglio che diventa tutto,
lo smalto sul comodino
e le molliche sul lenzuolo,
ne restan organizzare
programmi da non realizzare
a gestire l’ansia
come granelli di sabbia
ch’è un tutto
che può e vola
(via).
Siamo,
qualcosa di iniziato
ma non finito
infinito nei finiti nostri pensieri
al sapore di zucchero filato.